martedì 7 febbraio 2012

Comunicazione in medicina

Un lettore, che vuole rimanere per ora anonimo, ha mandato il seguente testo sollecitato da due articoli sulla comunicazione citati nella selezione “Articoli di interesse” 4/2011 (Perspective: The art of medicine. Critical conversations: navigating between hope and truth. Lancet 2011;378:1213; Editorial: Truth telling in clinical practice. Lancet 2011:378:1197) allegando anche un articolo molto bello sulla comunicazione in Medicina (BREAKS’ Protocol for Breaking Bad News. Indian J Palliat Care. 2010;16: 61) che conclude cosi': "Breaking bad news is part of the art of medicine. A bad news is always a bad news, however well it is said. But the manner in which it is conveyed can have a profound effect on both the recipient (the patient) and the giver (the physician). If done badly, it will hamper the well being of patient, impair the quality of life and future contact with the health care professional will be thwarted. It is a skill that has to be learnt by the physicians and other caregivers and effective methods of communication skills training are available. Good communication has a therapeutic effect on patient and bad communication leads to a detrimental outcome". Su richiesta (romano.tenconi@unipd.it) può essere spedito.

L’argomento è quindi la comunicazione in medicina, non solo in oncologia ma anche in genetica clinica in cui spesso si comunicano “brutte notizie”. Siete invitati a leggere il testo che ho ricevuto e l'articolo, a commentare e, se volete, a segnalare una vostra esperienza nella comunicazione con i pazienti.


“Signore, falla diventare il tuo angelo più bello”.
Non ho potuto trattenermi dall’esprimere questa richiesta mentre incontravo nei sotterranei dell’ ospedale i genitori di Carlotta in viaggio verso le camere mortuarie con in braccio un fagottino rosa. Carlotta non vive più, ha lasciato la sua famiglia dopo sessantadue giorni di vita trascorsi, forse, nel dolore, molto più probabilmente o come voglio raccontare a me stessa, in uno stato di incoscienza e di sonnolenza. La morte di un bambino è sempre un evento che scopre tutte le corde del dolore perché è innaturale, è ingiusta, è crudele. “Siamo venuti in ospedale per una festa ed invece tutto si è trasformato in un incubo”.
Le parole del papà due giorni dopo la nascita sintetizzano bene lo stato d’animo di questa famiglia colpita da un fulmine nel mezzo di una bella giornata di sole.
Quando ho incrociato lo sguardo di Rosa, la mamma di Carlotta, nei passaggi sotterranei non ho avuto bisogno di molte spiegazioni; mi sono solamente limitata a stringere il braccio che sorreggeva il fagottino ed a mormorarle “Mi dispiace”. Ho ricevuto un semplice “grazie” che mi è sembrato voler dire “io non esisto più”. Ed è vero, Rosa non esiste più, almeno la Rosa prima che nascesse Carlotta. Se ne è andata via assieme alla sua bambina, avvolta in quella copertina.  

II
Rosa è venuta a parlare con me questa mattina. Porta due caffè che beviamo insieme. Insieme a lei c’è la prima figlia, una stupenda bambina che sembra appena sbucata da un libro di favole. Parliamo a lungo di Carlotta e delle indagini che sono state effettuate sulla bambina. Soprattutto ripercorriamo l’iter proposto in caso di future gravidanze. Lo ripetiamo più volte ed a me sembra che questo esercizio sia utile per infondere un po’ di coraggio ad una coppia spaventata.
“Non lo faccio tanto per me quanto per lei” mi dice Rosa indicando la bambina.
“Tu lo vuoi un fratellino, vero?” la piccola annuisce ed abbozza un sorriso. Rosa piange, mi è sembrato che piangesse non appena avessi cominciato a parlare ed io mi sento paralizzata nella consapevolezza di non poter fare nulla per aiutare concretamente questa famiglia.
Le chiedo “Vorrei tanto vederla sorridere” e lei mi risponde “Ogni tanto lo faccio, ma non sempre mi riesce”.
“Nella vostra immensa sfortuna almeno non avete dovuto sopportare il dolore quotidiano di un bambino gravemente compromesso”, ma mentre lo dico queste mi sento un mostro. Ho balbettato un commento sbrigativo che giustifica con un semplice calcolo di costi/benefici la presenza e l’affetto di un essere umano.
“Si, potrebbe essere vero” riflette la signora ma le sue lacrime mi raccontano che forse avrebbe preferito tenere con sé una bimba con enormi problemi piuttosto che sentirne ogni giorno la sua mancanza. Ma questo non potrò mai saperlo, e francamente penso di non averne nemmeno diritto.

Guarda oltre.
Una buona comunicazione tra medico e paziente può aiutare a lavorare meglio. La comunicazione è un processo bidirezionale durante il quale è necessario che il medico dia delle informazioni e ne riceva altre dal proprio paziente. Comunque, per quanto bene si possa comunicare, una cattiva notizia è pur sempre una cattiva notizia. Per poterci veramente prendere cura dei nostri pazienti dobbiamo essere consapevoli che non siamo infallibili e che in alcuni casi anche i nostri più grandi sforzi non saranno abbastanza. Presentarsi al paziente vestiti di tale consapevolezza può essere frustrante ma aiuta nel rafforzare il legame di fiducia con esso.

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